San Calogero di Brescia Martire
18 aprile
+ Albenga, Savona, 18 aprile 121
Secondo gli Atti dei SS. Faustino e Giovita, Caio era un bresciano che, convertito al cristianesimo dalla costanza dei due martiri, fu poi martirizzato ad Albenga sotto Adriano (117-138). Il martire, la cui festa ricorre il 18 aprile, ebbe culto limitato alle diocesi di Brescia, Milano, Asti, Ivrea e Tortona. Le sue reliquie, verso la metà del sec. IX, sarebbero state trasferite nel monastero di S. Pietro al Monte, a Civate (Como).
Etimologia: Calogero = di bella vecchiaia, dal greco
Emblema: Palma
La storia di San Calogero di Brescia, il cui nome è spesso riportato anche nella particolare forma di Calocero e che le fonti agiografiche chiamano anche col nome romano di Caio, si può desumere dagli atti dei santi Faustino e Giovita (Passio beatissimi martyris Faustini et Iovite – Epitome della I, II e III parte della “Legenda Maior”) per opera dei quali si era convertito al Cristianesimo. Tutti e tre, infatti, erano soldati bresciani e probabilmente militavano nella medesima coorte poiché, allorché dovettero essere processati, vennero insieme trasferiti a Milano. Il processo si svolse presso le Terme d’Ercole ma nessuno dei tre abiurò la fede. Fu così che, condannati a morte, vennero condotti presso un tempio fuori le mura, poco lontano dall’anfiteatro, in uno spiazzo usato per le corse dei cavalli. Questa era probabilmente un’area che in origine, quando Milano era ancora la Midland dei Celti, era considerata sacra ed è molto verosimile che lì sgorgasse anche una sorgente, ritenuta miracolosa dalla popolazione, poi, nel 222 a.C., alla conquista di Milano, il console Marcello aveva sostituito il tempio celtico con uno dedicato a Giove e l’area era rimasta sacra per secoli, conservando un ampio spiazzo tutt’attorno; ma col passare del tempo e il mutare delle consuetudini, i passatempi della comunità erano diventati più rozzi e l’area sacra del tempio di Giove fuori le mura era diventata una pista per le corse. La zona in realtà alle corse si prestava ben poco poiché era lasciata a prato e non aveva alcun tipo di pavimentazione che le rendesse quantomeno sicure: correre coi cavalli in quella zona significava, perciò, tentare il suicidio oppure dimostrare un insolito coraggio, era il luogo, insomma, delle cosiddette “corse dei plaustri” che si svolgevano a Milano come in altre città dell’Impero per soddisfare i ben noti gusti morbosi della plebe dell’Impero, avida di passare il tempo tra spettacoli e gare che garantissero forti emozioni. All’epoca dei tre martiri, però, si trovavano ormai sempre meno coraggiosi disposti a gareggiare, per cui, per non rinunciare al divertimento, era da tempo invalso l’uso di far correre i condannati a morte, legati a carri lanciati a folle velocità e tirati da cavalli imbizzarriti. Questa era la sorte riservata anche a Caio, Faustino e Giovita, i tre ex ufficiali dell’esercito imperiale, colpevoli di alto tradimento e tutti si aspettavano questa fine cruenta quando ognuno dei tre venne legato al carro. Al segnale convenuto, i cavalli vennero liberati e i carri partirono con la solita veemenza tra gli urli e i fischi della folla, ma un inaspettato prodigio la deluse: i tre Santi riuscirono prontamente a governare i propri carri e a fuggire dal patibolo evitando, per questa volta, il martirio. Calogero prese la strada per Vigevano proseguendo fino ad Asti per rifugiarsi nella comunità cristiana locale dove, tra gli altri, convertì al Cristianesimo Secondo, il primo martire di Asti che andò a Milano a farsi battezzare e ad aiutare Faustino e Giovita rimasti colà. In seguito, Calogero, non si sa bene per quale ragione, si trasferì ad Albenga, dove continuò la sua opera missionaria. Fu lì che venne scoperto dalla polizia imperiale la quale pensò bene di decapitarlo immediatamente per evitare ulteriori sorprese. L’esecuzione avvenne presso l’antica foce del Centa, in località Campore nell’anno 121 sotto l’imperatore Adriano (117-138), era il 18 aprile. Il ricordo di Calogero divenne ben presto un forte culto locale restando, però, limitato alle diocesi di Brescia, Milano, Asti, Ivrea e Tortona. In regione Doria, in prossimità dell’imbocco della galleria dell’attuale SS Aurelia in direzione di Alassio, possono ancora osservarsi i ruderi della prima basilica cristiana di Albenga, eretta attorno ai secoli IV e V e dedicata a San Calogero. La presunta Tomba di San Calogero è conservata ad Albenga nel Museo Civico Ingauno, mentre nella Cattedrale di San Michele è conservata l’urna con le reliquie del Santo. A Milano è probabilmente sopravvissuta fino ai giorni nostri la memoria del mancato martirio di San Calogero nella toponomastica viaria del centro storico della città: non lontano da Porta Ticinese, infatti, si trova Via S. Calogero. Proprio in questa zona della città ora si trova la chiesa di S. Vincenzo in Prato il cui nome, nel quale sopravvive il riferimento a un non meglio precisato prato, fa pensare che in quella zona fosse da sempre presente un’area non edificata come testimoniato dalla tradizione agiografica circa i Santi Faustino e Giovita che parla di un tempio romano nella zona, un edificio sacro pagano che sarebbe crollato in seguito a un periodo di forti piogge, rivelando tra l’altro l’esistenza di una sorgente. Sul luogo del crollo venne in seguito riedificata una chiesa cristiana, dedicata alla Madonna, la sorgente pare fosse rinomata per la salubrità delle acque che ne sgorgavano e il punto preciso della fonte, nota col nome di Fonte di San Calogero, pare fosse custodito sotto l’altare della chiesa; successivamente, la chiesa venne ampliata e dedicata a San Vincenzo al cui nome è tuttora legato all’edificio sacro, si ha notizia, però, di un Oratorio di San Calogero, eretto a fianco della chiesa di San Vincenzo, attorno al quale venne poi costruito un monastero femminile. L’Oratorio di San Calogero venne irreparabilmente danneggiato durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e fu, purtroppo, demolito. Ad Albenga è sopravvissuto fino ai nostri giorni il complesso del monastero di San Calogero, ormai abbandonato e trasformato in zona archeologica, che si vuole sorto presso il luogo del martirio e che avrebbe custodito le spoglie mortali del Santo evangelizzatore della zona finché queste non vennero traslate nella chiesa della città. Ma secondo un’altra tradizione, che sembra cozzare con quella ligure, il luogo di sepoltura attuale delle spoglie mortali di San Calogero è Civate, presso cui furono traslate verso la metà del IX secolo. La tomba attuale è custodita nella chiesa dedicata al Santo all’interno delle mura del paese ma pare che originariamente le spoglie fossero state deposte nella chiesa di San Pietro al Monte, secondo quanto afferma anche la leggenda di San Pietro al Monte di Civate, in cui parte rilevante ha la presenza di una fonte d’acqua dai poteri miracolosi. Dall’altro versante del Monte di Civate, poi, sorge un altro paese, Caslino d’Erba, la cui principale attrazione è costituita dalla chiesa romanica della Madonna di San Calogero, situata in un’area sacra ove venne rinvenuta un’interessante lapide romana in cui sembra potersi leggere il voto che un fedele fa “alle Linfe e alle Acque”, dando, così, la conferma del fatto che l’area in questione fosse in origine un vero e proprio monte sacro, sede terrena degli spiriti delle acque. Va poi ricordato che il luogo del martirio del Santo è situato dalla tradizione di nuovo presso l’acqua: alla foce di un fiume. Infine, sia la piana di Albenga, creata dal fiume Centa sia la zona di Civate e Caslino, erano in passato soggette a frequenti alluvioni e frane per proteggersi dalle quali le popolazioni esasperate si affidavano all’intercessione di San Calogero.