Sant’ Atanasio Vescovo e dottore della Chiesa
2 maggio
295-373
Vescovo di Alessandria d’Egitto, fu l’indomito assertore della fede nella divinità di Cristo, negata dagli Ariani e proclamata dal Concilio di Nicea (325). Per questo soffrì persecuzioni ed esili. Narrò la vita di Sant’Antonio abate e divulgò anche in Occidente l’ideale monastico. (Mess. Rom.)
Etimologia: Atanasio = immortale, dal greco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Memoria di sant’Atanasio, vescovo e dottore della Chiesa, di insigne santità e dottrina, che ad Alessandria d’Egitto dai tempi di Costantino fino a quelli dell’imperatore Valente combattè strenuamente per la retta fede e, subite molte congiure da parte degli ariani, fu più volte mandato in esilio; tornato infine alla Chiesa a lui affidata, dopo aver lottato e sofferto molto con eroica pazienza, nel quarantaseiesimo anno del suo sacerdozio riposò nella pace di Cristo.
Questo Padre e Dottore della Chiesa è il più celebre dei vescovi alessandrini e il più intrepido difensore della fede nicena contro l’eresia di Ario. Costui, siccome faceva del Verbo un essere di una sostanza diversa da quella del Padre e un semplice intermediario tra Dio e il mondo, praticamente negava il mistero della SS. Trinità.
S. Atanasio nacque verso il 295 ad Alessandria d’Egitto da genitori cristiani i quali gli fecero impartire un’educazione classica. Discepolo di S. Antonio abate nella gioventù, si consacrò per tempo al servizio della Chiesa, Nel 325 accompagnò come diacono e segretario il suo vescovo Alessandro al Concilio di Nicea radunato dall’imperatore Costantino, nel quale fu solennemente definita la consostanzialità del Figlio con il Padre. S. Atanasio nel 328 fu acclamato dagli alessandrini loro pastore. Di lui dicevano: “E un uomo probo, virtuoso, buon cristiano, un asceta, un vero vescovo”.
La chiesa di Alessandria si trovava divisa dallo scisma non solo di Ario, ma anche di Melezio di Licopoli. Durante la persecuzione di Diocleziano (305-306), costui, approfittando dell’assenza del vescovo Pietro di Alessandria, si era arrogato il diritto di ordinare e scomunicare secondo il suo arbitrio. Nonostante fosse stato deposto da un sinodo, buona parte del clero lo aveva seguito nello scisma. In mezzo a tante divisioni il compito del giovane Atanasio si presentava quanto mai difficile.
Ben presto cominciarono difatti gli intrighi contro di lui dei vescovi di corte ariani, capeggiati da Eusebio di Cesarea, per indurlo a ricevere nella sua comunione i vescovi amici di Ario. Atanasio vi si oppose energicamente. I meleziani a loro volta l’accusarono presso Costantino di aver imposto agli egiziani un tributo di pezze di lino e di aver fatto rompere il calice di un loro vescovo. Citato al tribunale dell’imperatore a Nicomedia, non fu difficile al santo discolparsi. Accusato ancora di aver fatto assassinare Arsente, vescovo meleziano di Ipsele, non fu difficile al medesimo accrescere lo scorno dei suoi nemici facendoglielo comparire davanti vivo.
L’accusato fu di nuovo riabilitato, ma gli ariani non si diedero per vinti. Essi persuasero Ario a sottoscrivere una formula di fede equivoca. Costantino se ne accontentò e intimò a tutti i vescovi di riceverlo nella loro comunione. Essendosi Atanasio ancora una volta rifiutato, fu deposto dal concilio di Tiro (335) e relegato a Treviri, nelle Gallie, dove rimase fino alla morte dell’imperatore (337). Gli eusebiani non potendo per allora sperare nulla dal potere civile, portarono davanti al papa Giulio I l’affare di Atanasio. Furono citate le due parti ad un concilio plenario, ma gli ariani, sicuri dell’appoggio di Costanzo II, imperatore d’Oriente, invece di presentarsi, posero sulla sede di Alessandria Gregorio di Cappadocia. Il secondo esilio di Atanasio durò sei anni. A Roma (341) e a Sardica (343) fu riconosciuta la sua innocenza. Durante il soggiorno romano egli viaggiò molto, e iniziò la chiesa latina alla vita monastica quale si praticava in Egitto. Nella Pasqua del 345 si recò ad Aquileia presso Costante, imperatore d’occidente, che gli ottenne dal fratello Costanzo il permesso di tornare alla sua sede dopo la morte del vescovo intruso (345).
Seguirono per il santo dieci anni di pace relativa, di cui approfittò non solo per comporre opere dogmatiche, o di apologia personale, ma per proseguire una politica di vigile controllo e di prudente conciliazione, i cui effetti furono disastrosi per il partito ariano. Difatti, due o tre anni dopo, egli era in comunione con più di 400 vescovi, e seguito dalla massa dei fedeli. In questo periodo egli consacrò vescovo di Etiopia S. Frumenzio, vero fondatore della chiesa cristiana in quel paese.
Alla morte del suo protettore Costante (350) e del papa Giulio I (352), i nemici di Atanasio tanto brigarono da riuscire a sollevargli contro anche l’episcopato d’Occidente nel Concilio di Arles (354) e in quello di Milano (355).
L’intrepido vescovo, ripieno di amarezza, fuggì allora nel deserto, dove i monaci per otto anni lo sottrassero con cura a tutte le ricerche. Dalla solitudine egli continuò a governare la sua chiesa e scrisse i Discorsi contro gli Ariani e le 4 Lettere a Serapione che formano la sua gloria come dottore della SS. Trinità. Poté ritornare in sede nel 362 dopo la morte di Costanzo, il massacro del vescovo intruso Giorgio dì Cappadocia e la salita al trono di Giuliano, il cui primo atto fu di richiamare i vescovi esiliati dal suo predecessore.
Fu cura di Atanasio ristabilire l’ortodossia nicena e combattere l’arianesimo ufficiale che aveva trionfato nei concili di Seleucia e di Rimini (359). Riunito un concilio, prese decisioni improntate a misericordia verso coloro che si erano dati all’eresia per ignoranza, e anche sul terreno dogmatico fu largo e tollerante per quello che potevano sembrare quisquiglie o pura terminologia. Tanta attività diretta a consolidare l’unità cattolica non tornò gradita a Giuliano, intento solo a ristabilire il paganesimo. Nel 363 S. Atanasio per la quarta volta lasciò la sua sede, ma solo per pochi mesi perché, morto l’imperatore nella spedizione contro i persiani, gli successe il cristiano Gioviano, che lo richiamò. Nel 365 il Santo dovette eclissarsi alla periferia della città per la sesta volta, perseguitato dall’imperatore d’Oriente, Valente, amico degli ariani. Dopo soli quattro mesi però fu richiamato perché gli egiziani minacciavano rivolte. Non lasciò più la sua fede fino alla morte avvenuta il 2-5-373 dopo 45 anni di governo forte e alle volte anche duro contro i suoi avversari.
Egli meritò a buon diritto il titolo di “grande” per l’indomabile fermezza di carattere dimostrata contro gli ariani e la potenza imperiale, sovente ad essi eccessivamente ligia. A ragione fu detto che in lui, “padre dell’ortodossia”, combatteva tutta la Chiesa.
Finché visse sostenne ovunque con un’attività traboccante i propugnatori della vera fede. Così impedì che i vescovi dell’Africa latina sostituissero il simbolo compilato a Nicea con quello di Rimini; spinse papa Damaso ad agire contro Ausenzio, vescovo ariano di Milano, e incoraggiò S. Basilio, che cercava un appoggio per la pacificazione religiosa dell’oriente.
Della produzione letteraria di Atanasio non esiste ancora un’edizione critica. Nelle sue opere si nota limpidezza e acutezza di pensiero, ma la materia trattata manca di ordine ed è resa pesante dalle frequenti ripetizioni e dalla prolissità.